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Valbrevenna, brivido freddo

Valbrevenna, brivido freddo

Matteo Marino

Libarna, ai piedi della giogaia d’Appennino, al limitare della Pianura Padana, nel 2013 scopre la Porta Sud d’età Romana, quella volta al Grande Porto, capolinea della Postumia e dell’Emilia Scauri lanciate verso Aquileia e l’Adriatico. Una porta urbana con una fattura simile alla Palatina di Torino.
Tra Libarna e Genova il Giogo d’Appennino, attraversato a dorso di mulo per millenni, dalle rotte terrestri del Porto. Due valli solcano
la giogaia, parallele al mare, una di seguito all’altra da levante a ponente: la Fontanabuona e, poco a nord oltre il guizzo a baionetta, costretto dal perno dell’Antola svettante oltre i 1500 metri in vista di Corsica e Monviso, la Brevenna.
Col nome che suona come “un brivido freddo”, la valle venne battezzata in ambiente preromano: celtico, etrusco, gallico o più verosimilmente ligure, dai carovanieri di muli someggiati, qui in transito dal Neolitico sino al sopraggiungere della Prima ferrovia dei Giovi, quella di Cavour, del 1852, lungo la tratta Genova-Torino, fatta per connettere alla capitale il porto finalmente annesso dopo secoli di vani tentativi a mano armata.

Della valle conserviamo quel che sono le più antichetestimonianze cartografiche, redatte da Matteo Vinzoni, a metà del 700. Fotografano un confine lungo il corso del Brevenna: da un lato la Superba, dall’altro il feudo dei Fieschi di Savignone e Croce. Condizione di confine superata solo a fine 800 creando ex novo il comune omonimo.
Fotografano anche, alla maniera degli itinerari tra età classica e medioevale, due sequenze di località, ciascuna poco discosta dal soprastante crinale.
Un Cammino è quello sul crinale della Repubblica tra Brevenna, Montoggio e Torriglia. L’altro, per intero in territorio Fliscano. Si tratta delle due direttrici-scorciatoie da Genova verso Libarna che puntano, per la via del Sale al Borbera, per la val Vobbia al Cantone sulla media val Scrivia, ed oltre essa per la Bocchetta al Lemme. Mulattiere, paxi, caravanserragli, valichi, ponti e tutte le infrastrutture logistiche dell’andar per monte, sono il cuore delle ricerche iniziate da Nino Lamboglia, continuate da Tiziano Mannoni ed ora dall’ISCUM e dall’Istituto internazionale di studi liguri.

Ad est oltre il Brevenna e l’Antola c’è il Trebbia direzionato più a levante verso la Bobbio – crocevia medievale – del monaco irlandese Colombano che evangelizzò le valli Trebbia ed Aveto, ed ancor prima verso Clastidium dove la Decima Legione, l’Invicta, difese per ultima, Roma dai Barbari. Così tanto per comprendere che qui, nell’Oltrepò, si è sempre giocata la fortuna dell’Italia. La Val Brevenna conobbe il monachesimo benedettino, quello di s. Andrea di Bovarizza, a Caserza, a dominio del bivio tra Casella, l’Antola e Crocefieschi.

Gli stessi di s. Stefano, quelli della prima parrocchiale di Isola del Cantone, oggi “scavata” dall’Università di Torino, sulle tracce di una villa romana, grazie al meritevole lavoro del Centro Culturale di Isola del Cantone, animato da Sergio Pedemonte.
I frati potrebbero aver introdotto la creazione delle fasce coltive sui versanti soleggiati per l’agricoltura eroica della vigna, dell’orzo della mela cabellotta – quest’ultima oggi risorta, e la tipologia della cosiddetta “casa celtica”. Non resta che accertarsene.
Girando la valle a caccia di spunti paesaggistici, e di cultori di storia locale, senza una trama specifica, per farne poi un racconto “sul campo” con la testimonianza di persone incontrate qua e là, davanti ad un bicchiere di vino, sorseggiando un caffè, o mangiando in una trattoria prode, come quella “del Bianco”, a Porcile, poco oltre Caserza e prima di Pareto. Cibandosi anche del paesaggio, con gli occhi, attraverso le lenti della storia dell’arte, della cosiddetta “civiltà della forchetta”, per dirla alla Giovanni Rebora, grande divulgatore delle relazioni tra Comunità e Territorio, attraverso la tipicità gastronomica, oggi continuate da Sergio Rossi.

Le case celtiche – ci riferisce Italo Pucci che le studia da tempo – sono la variante appenninica di una tipologia di costruzione europea”. Si tratta delle case e dei palazzi cosiddetti a “frontone scalato”, in inglese “crow-stepped gable”. Una particolare soluzione del frontone triangolare che supera le due falde retrostanti. Gli esempi del rinascimento di Fiandra sono meravigliose architetture. “In Italia – prosegue Pucci – la diffusione di questo tipo di costruzione non è uniforme ma interessa aree a volte anche di modeste dimensioni, nel bellunese, nei monti Lessini del veronese, nel biellese, nell’Appennino modenese.
Ma per quel che piu ci interessa, le case a “frontone scalato”, con il tetto finito in paglia sopra l’orditura lignea, sono ben presenti nelle valli dell’Antola, proprio in val Brevenna e in val Pentemina, dove sopravvivono per l’abbandono in cui giacciono che ne ha salvaguardato l’architettura. Quindi elenca i luoghi dove ha schedato i “reperti”. “A Costagrande tra Pareto e il Brevenna, dove le chiamano “Casoni”. Si tratta – prosegue – di essicatoi per castagne restaurati dal parco dell’Antola, e lungo la sentieristica, nella fascia tra abitati e crinale, a Fullo, a Senarega – nel centro abitato – in due alpeggi sopra Chiappa, ai Casoni di Giuan ed a quello di Lomà, quest’ultimo datato al 1606”. Indizi di “fossili comportamentali”.
Anche Massimo Angelini dice la sua sul patrimonio culturale della valle, a cena, dal ristorante Gargantuà di Nenno, sempre in valle. Racconta di aver a lungo studiato il “fossile comportamentale” del modo di occupare i posti a sedere in chiesa, distinto per sesso, riuscendo a metterlo in relazione alla posizione del campanile rispetto al presbiterio. Gli parlo del “fiore della vita” graffito su d’una pietra squadrata al vertice del timpano di facciata della taverna-castello Adorno a Pareto, delle quadrature che decorano il catino absidale dell’Oratorio presso il cimitero a Senarega che rielabora la croce comissa di Terrasanta, delle decorazioni sul piatto della lesenza sinistra tra aula e presbiterio dello stesso oratorio, definite in 5 riquadri sovrapposti sopra il lambrino basamentale: recano in simmetria orizzontale un ricco disegno geometrico a quadrature di triangoli, rombi e semicerchi. “Si tratta di “fossili stilistici” – afferma compiaciuto, evocando in due sole parole un mondo di riferimenti al sacro che attraversa la storia dell’umanità e della Valbrevenna.

L’articolo continua sul n. 162 di Oltre inoltrandosi nelle architetture spesso tutt’altro che semplici o “popolane”, capaci di rimandi alle civiltà che nei secoli si sviluppavano in mondi “altri”.